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Goffredo Fofi: resistere, studiare, fare rete...

        "Goffredo è stato un intellettuale “rompi coglioni” (sua la definizione), anzi di questo necessario “dare fastidio”, ne faceva proprio una teoria. Aveva elaborato i quattro punti necessari per essere una minoranza attiva ed efficace. “Resistere. Studiare. Fare rete. Rompere le scatole”. Con le sue riviste, fondamentali per la storia dei movimenti critici italiani (Quaderni Piacentini, La Terra vista dalla Luna, Ombre rosse, Linea d’ombra, Lo straniero, Gli Asini), ha messo in atto questo suo programma, che era il programma della sua vita personale: ha studiato, ha fatto rete, ha resistito, e ha rotto lo scatole al sistema…

Goffredo Fofi, era un figlio spirituale di Aldo Capitini, uno dei giovani che si sono formati ai suoi insegnamenti (con Pietro Pinna, Daniele Lugli, Alberto Tomiolo, altri) e che poi per tutta la vita l’hanno considerato “maestro e compagno”. Fu proprio Aldo Capitini ad indirizzare l’allora diciottenne Goffredo da Danilo Dolci, in Sicilia, per impostare il lavoro sociologico per il riscatto dei più poveri e abbandonati. Fu lì che nacque la “rivoluzione nonviolenta” e per la prima volta in Italia si misero in pratica su larga scale le tecniche della nonviolenza, dallo sciopero collettivo contro la pesca di frodo, allo sciopero alla rovescia contro l’incuria dei beni pubblici.

Ma le strade frequentate da Goffredo, qualche anno dopo, lo portarono ad incontrare un altro amico della nonviolenza, Alex Langer, dentro a quel movimento magmatico del ‘68 che era Lotta Continua. Anche in questo caso, maestro e discepolo si mescolarono in modo tale che non si distingueva più l’uno dall’altro, come Goffredo racconta nel suo ultimo libro dedicato all’amico Alex “Ciò che era giusto”.

Ci sarà modo, nei prossimi mesi, di ricordare compiutamente il Fofi intellettuale (critico letterario e cinematografico in primis). Qui oggi lo celebriamo e lo ringraziamo come amico del Movimento Nonviolento: lo ricordiamo, felice, alla festa per i nostri 50 anni, a parlarci del “contesto culturale e politico nel quale è nato il Movimento Nonviolento” e a rimproverarci per non essere ancora fautori di una politica di disobbedienza civile. Era burbero nelle sue critiche, ma immediatamente disponibile ad ascoltare le ragioni altrui, e buono nel dimostrarti la sua amicizia.

Ora anche Goffredo si è ricongiunto con Aldo, Pietro, Alex, Daniele, e noi rimaniamo senza Maestri".





Ecco poi quanto scritto da Enzo Ferrara, Centro Studi Sereno Regis di Torino:

"È improvvisamente morto a 88 anni il nostro amico Goffredo Fofi, mentre era ricoverato a Roma per un incidente che gli aveva procurato la rottura del femore a fine giugno. Abbiamo ricevuto la notizia questa mattina presto dagli amici del Centro Gobetti di Torino, poi confermata dagli amici della rivista Gli Asini di Bologna e Roma.

Come nonviolenti e studiosi della pace, gli dobbiamo molto. La sua azione educativa e culturale, praticata fin dai tempi in cui a 19 anni dal paese natio, Gubbio, seguì Danilo Dolci a Partinico, e la sua continua volontà di indagine e approfondimento diretto – che lo portò ad accompagnare i “suoi” meridionali migranti a Torino per capire come davvero stessero e quali orizzonti la grande fabbrica e la città industriale offrivano loro – erano le modalità di espressione del suo spirito, appassionato delle vicende umane, di educazione e delle forme di comunicazione culturale libertaria e partecipata.

Memorabile il suo lavoro sull’Immigrazione Meridionale a Torino del 1963, censurato dalla FIAT e per questo rifiutato da Einaudi (recuperato e pubblicato poi da Feltrinelli) con conseguente amarissima rottura della mitica redazione di via Biancamano a Torino – dove lavoravano Italo Calvino, Renato Panzieri, Norberto Bobbio, Leone Ginzburg, Giulio Bollati, Massimo Mila, Elio Vittorini, Luciano Foà, Franco Venturi, Delio Cantimori, Natalia Ginzburg, Cesare Cases – sancita dalla fuoriuscita di Renato Solmi per i dissensi, con Mila e Cantimori soprattutto, sull’opportunità e l’urgenza di pubblicare il testo-inchiesta di Fofi.   (continua qui, consigliamo di leggere tutto!)

(Il testo si conclude con queste parole di Goffredo Fofi, pronunciate nel 2013 durante un convegno al Centro Studi Sereno Regis dal titolo: Dopo una guerra. Il cinema, l'arte e la letteratura della nonviolenza :

"Un esempio importante è stato Alexander (Alex) Langer, che meriterebbe un’enorme attenzione da parte di tutti perché è stato uno dei più grandi personaggi italiani legati alla nonviolenza – forse l’unica cosa di cui il movimento del ‘68 può veramente vantarsi è di aver dato vita a una figura di politico, scrittore e attivista come quella di Alex Langer, di aver dato ad Alex la possibilità di estrinsecare i suoi migliori talenti in un lavoro enorme che ha fatto soprattutto al tempo della guerra nella ex Jugoslavia. Su Alex bisognerebbe riflettere molto.

C’è poi un libro molto recente di Anna Bravo, storica, torinese, che si chiama La conta dei salvati (2013). È un tentativo di confutare il fatto che la storia e gli storici debbano raccontare solo le guerre, solo i morti, solo le violenze e mai le vicende di quelli che hanno cercato – anche politicamente, anche da dentro alla politica, da dentro a certe responsabilità di potere – di contrastarla questa storia e di salvare più vite umane possibili. A sinistra non sono personaggi particolarmente amati: il Dalai Lama, Ibrahim Rugova nel Kosovo, più indietro Alex Langer e ancora più indietro i danesi e gli olandesi all’epoca del nazismo per il loro tipo di resistenza passiva a Hitler ma anche di rifiuto di consegnare gli ebrei ai nazisti. Tutte imprese che in qualche modo hanno avuto un risultato positivo.

Fra queste vorrei ancora ricordare Don Primo Mazzolari di cui si parla molto poco, e la storia – che meriterebbe un documentario – del suo piccolo libro Tu non uccidere, edito da “La locusta” di Vicenza, perché la prima edizione alla fine anni ‘50 uscì anonima. Mazzolari aveva dei problemi, ovviamente, proprio perché il suo era un discorso di tipo decisamente nonviolento, di ripudio della guerra. Erano gli anni appunto di Beppe Gozzini e dei nostri amici obiettori.

Oggi il discorso è aperto, come sempre, e credo che la strada dell’obiezione di coscienza sia ancora una strada fondamentale, soprattutto quando la nonviolenza è coniugata nelle tre forme che erano state utilizzate da Gandhi e poi riprese da Capitini, quelle del rifiuto della violenza, quella della non menzogna, e quella della non collaborazione: non fare il male, non mentire e reagire al male, non collaborare. Reagire al male voleva dire per Gandhi praticare la disobbedienza civile. Il tema forse fondamentale da cui ripartire per la cultura contemporanea dovrebbe essere questo: allargare il discorso sulla disobbedienza civile, raccontare esempi di disobbedienza civile nella storia – perché sono tanti gli esempi di disobbedienza civile e forme e tecniche di reazione nonviolenta alla violenza del potere, che appartengono anche alla storia del movimento operaio e non solo alla storia di gruppi religiosi o di gruppi non violenti. Un tema molto importante.

Vorrei finire citando non un romanzo e non film ma una canzone – visto che si parla di arte. Una canzone che è stata per la mia generazione molto significativa, è Il disertore di Boris Vian, e che possiamo leggere insieme nella versione italiana, molto bella, di Ivano Fossati":

Le Déserteur

In piena facoltà
egregio presidente
le scrivo la presente
che spero leggerà.

La cartolina qui
mi dice terra terra
di andare a far la guerra
quest’altro lunedì

Ma io non sono qui
egregio presidente
per ammazzar la gente
più o meno come me

Io non ce l’ho con lei
sia detto per inciso
ma sento che ho deciso
e che diserterò.

Ho avuto solo guai
da quando sono nato
i figli che ho allevato
han pianto insieme a me.

Mia mamma e mio papà
ormai son sotto terra
e a loro della guerra
non gliene fregherà.

Quand’ero in prigionia
qualcuno mi ha rubato
mia moglie e il mio passato
la mia migliore età.

Domani mi alzerò
e chiuderò la porta
sulla stagione morta
e mi incamminerò.

Vivrò di carità
sulle strade di Spagna
di Francia e di Bretagna
e a tutti griderò.

Di non partire più
e di non obbedire
per andare a morire
per non importa chi.

Per cui se servirà
del sangue ad ogni costo
andate a dare il vostro
se vi divertirà.

E dica pure ai suoi
se vengono a cercarmi
che possono spararmi
io armi non ne ho.

Boris Vian, 1956                                                                                    (Traduzione di Ivano Fossati)

 

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