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Strategie dell'azione nonviolenta: il dialogo

Jean Goss        Il dialogo è l’arma più leggera e facile della nonviolenza. Il nonviolento non abbandona mai il dialogo. Ma se il dialogo viene rifiutato lui arriva addirittura a provocarlo. (…)      Ho partecipato al primo convegno tra cristiani e marxisti dell’Est e dell’Ovest che si è tenuto a Salisburgo. (…)      C’erano quasi 400 tra marxisti e cristiani dell’Est e dell’Ovest. C’erano uomini importanti. Dopo due giorni ero esausto. Dissi a mia moglie: «Non ne posso più» (…) Allora chiesi la parola. Dissi pressappoco così: «Abbiamo voluto fare un dialogo fra cristiani e marxisti. Va bene. Questo è il primo passo sulla strada del dialogo. Ma cosa abbiamo fatto per due giorni? Due monologhi.  Cioè i cristiani sono venuti alla tribuna e hanno detto tutti i crimini, tutti i gulag, tutti i massacri che hanno fatto i marxisti. Ed in seguito hanno esposto la loro verità di cristiani. I marxisti a loro volta hanno preso la parola ed hanno parlato delle crociate, delle guerre sante, di tut

Le 17 regole per un giornalismo di pace

    LE 17 REGOLE PER UN GIORNALISMO DI PACE

(di J. Lynch, A. McGoldrick, Peace Journalism, Hawthorn Press, Gloucestershire, 2005, pp. 28-31, ripreso e riconcettualizzato dal professore Andrea Cozzo (le sue ri-concettualizzazioni sono espresse, alla fine di ogni regola, tra parentesi quadre).

VEDETE VOI SE VI PARE CHE IN QUESTI DUE ANNI I NOSTRI MEDIA - quelli dei Paesi che narcisisticamente, scorrettamente, disonestamente chiamiamo democratici ma sono democrature - le abbiano praticate o se, per caso, abbiano fatto esattamente il contrario (come per l’Iraq, per l’ex-Jugoslavia, per l’Afghanistan...):

«1. EVITA di descrivere un conflitto come costituito soltanto da due parti che si contendono lo stesso obiettivo/gli stessi obiettivi). La logica conseguenza è che uno vince e l’altro perde.
     INVECE cerca di DISAGGREGARE le due parti in molti gruppi più piccoli, che hanno diversi bisogni e interessi e perseguono obiettivi diversi: in tal modo si apre un maggiore potenziale creativo per una varia gamma di risultati. E chiediti: chi altri è coinvolto, e come?
[=Dai del conflitto una visione non polarizzata ma multilateralizzata, che favorisce una visione non manichea delle parti in campo.]
2. EVITA di accettare una netta distinzione tra “sé” e “altro”. Questi possono essere usati per creare la sensazione che l’altra parte sia una ‘minaccia’ o ‘al di là del limite’ del comportamento civile. Entrambe le espressioni costituiscono giustificazioni fondamentali per la violenza.
   INVECE cerca l’‘altro’ nel ‘sé’ e viceversa. Se una parte si presenta come “i buoni”, chiedi come il suo comportamento sia davvero diverso da quello che attribuisce all’altra parte (…).
[= Favorisci una descrizione dei confliggenti che non coincida con quella della divisione “Noi vs. Loro”.]
3. EVITA di trattare un conflitto come se avvenisse solo nel luogo e nel tempo in cui si verifica la violenza.
   INVECE cerca di individuare le connessioni e le conseguenze per le persone in altri luoghi, adesso e nel futuro. Domanda:
• Chi sono tutte le persone interessate all’esito?
• Come si relazionano tra loro queste parti interessate?
• Chi trae guadagno dal conflitto?
• Cosa stanno facendo per influenzare il conflitto?
• Cosa succederà se…?
• Quale lezione trarranno le persone osservando lo svolgersi di questi eventi come parte di un pubblico globale? Come entreranno nei calcoli delle parti coinvolte nei conflitti futuri, vicini e lontani?
[= Mostra in che modo, e sulla base di quali interessi, altre parti contribuiscono alla guerra.]
4. EVITA di valutare i meriti di un’azione o di una politica violenta guardando solo ai risultati visibili.
   INVECE cerca di trovare modi per raccontare anche gli effetti invisibili, ad esempio le conseguenze a lungo termine del danno psicologico e del trauma, che forse aumentano la probabilità che le persone colpite siano violente in futuro: sia contro altre persone, sia, come gruppo, contro altri gruppi o altri paesi.
[= Mostra l’ombra lunga che le guerre proiettano anche al di fuori del contesto ristretto in cui si combattono e su altri popoli sia nel presente sia nel futuro.]
5. EVITA di lasciare che le parti si definiscano semplicemente citando le ben note richieste e posizioni dei loro capi.
   INVECE indaga a fondo sugli obiettivi, sui bisogni e sugli interessi:
• In che modo le persone sul campo sono colpite dal conflitto nella vita di ogni giorno?
• Cosa vogliono che cambi?
• Chi altri parla per loro oltre ai loro leader politici? Le risposte a ciò sono spesso sorprendentemente accessibili, dato che anche molte piccole organizzazioni di base hanno oggi un sito web.
• La posizione espressa dai loro leader è il solo o il miglior modo per compiere i cambiamenti da loro voluti?
• Questo può aiutare le parti a chiarire i propri bisogni e interessi e a definire i loro obiettivi, rendendo più probabili dei risultati creativi.
[= Scopri cosa pensano non solo i Governi in conflitto, ma anche i combattenti e i civili.]
6. EVITA di concentrarti sempre su ciò che divide le parti e sulle differenze tra ciò che ognuna dice di volere.
   INVECE cerca di fare domande che possano rivelare pezzi di terreno comune, e di gestire il tuo report con risposte che suggeriscano che almeno alcuni obiettivi, bisogni e interessi possono essere compatibili o condivisi.
[= Metti in evidenza, attraverso le interviste ai soggetti dei campi opposti, gli elementi che li pongono in un campo unico.]
7. EVITA di riferire solo gli atti violenti e di descrivere l’‘orrore’. Se escludi qualsiasi altra cosa, tu finisci per suggerire che l’unica spiegazione per la violenza sia una violenza precedente (vendetta), e che l’unico rimedio sia una violenza maggiore (coercizione/punizione).
   INVECE mostra come le persone siano state bloccate e frustrate o deprivate nella loro vita quotidiana per spiegare le condizioni che hanno prodotto la violenza.
[= Scopri gli ‘equivoci’ che stanno alla base dei comportamenti violenti di ognuna delle parti.]
8. EVITA di dare a qualcuno la colpa di “avere incominciato”.
   INVECE cerca di guardare a come questioni e problemi condivisi abbiano portato a conseguenze che ognuna delle parti dice di non aver mai voluto.
[= Mostra la complessità dei problemi che non è esauribile nella categoria di “attaccante/invasore = colpevole” ma richiede anche la messa a fuoco del punto di vista sia della parte attaccante sia di quella attaccata – sia nel conflitto russo-ucraino sia nel conflitto israeliano-palestinese.]
9. EVITA di concentrarti esclusivamente sulle sofferenze, le paure e le lamentele di una sola parte. Ciò, infatti, divide le parti in “cattivi” e “vittime” e suggerisce che la coercizione o la punizione dei cattivi rappresenti la soluzione.
   INVECE tratta come ugualmente importanti le sofferenze, le paure e le lamentele di tutte le parti.
[= Mostra come, indipendentemente da “chi ha cominciato”, a soffrire siano tutte le parti e in particolare chi, da ciascuna parte, si trova ‘in basso’.]
10. EVITA il linguaggio ‘vittimizzante’, quindi parole come “devastato”, “indifeso”, “patetico” e “tragedia”, che ci dicono solo cosa è stato fatto e cosa potrebbe essere fatto per un gruppo di persone da parte di altre persone. Questo toglie loro potere e limita le opzioni per il cambiamento.
   INVECE racconta cosa è stato fatto e cosa può essere fatto dalle persone. Non chiedere loro soltanto cosa provano; chiedi anche come stanno affrontando la situazione e cosa pensano. Possono suggerire qualche soluzione?
[= Parla con le persone implicate nella guerra invitandole a dire cosa, secondo loro, potrebbero fare per cambiare le cose.]
11. EVITA l’uso impreciso di parole di carattere emotivo per descrivere cosa è successo alle persone. Per esempio:
• “Tragedia” è una forma di dramma, originariamente greca, in cui la colpa o la debolezza di qualcuno provoca la sua rovina.
• (…) 
• “Massacro” è l’uccisione deliberata di persone che si sanno essere disarmate o indifese. Siamo sicuri? O non lo sappiamo? Queste persone potrebbero essere morte in una battaglia?
• “Sistematico” – ad esempio detto dello stupro o dell’allontanamento forzato di persone dalle loro abitazioni. Queste cose state davvero organizzate all’insegna di uno schema deliberato, o si è trattato di una serie di incidenti non collegati tra loro, anche se molto brutti?
   INVECE sii sempre preciso su ciò che sappiamo. Non minimizzare le sofferenze, ma riserva il linguaggio più duro per le situazioni più gravi, o sminuirai il linguaggio e contribuirai a giustificare risposte sproporzionate che producono un’escalation di violenza.
[= Rifletti, prima di scrivere o parlare, sull’aderenza delle tue parole rispetto alla realtà che vuoi descrivere.]
12. EVITA aggettivi demonizzanti come “feroce”, “crudele”, “brutale”, “barbaro”. Essi descrivono sempre solo il punto di vista di una parte su ciò che ha fatto l’altra. Usarli mette il giornalista a favore di quella parte e contribuisce a giustificare un’escalation di violenza. 
   INVECE riporta quello che sai sulle trasgressioni e fornisci tutta l’informazione possibile riguardo all’attendibilità di altri resoconti o descrizioni. Se l’indagine è ancora in corso, dillo, così da avvertire che la verità potrebbe poi essere diversa.
[= Utilizza un linguaggio che non sia quello che utilizzerebbe soltanto una delle parti in guerra.]
13. EVITA etichette demonizzanti come “terrorista”, “estremista”, “fanatico”, “fondamentalista”. Sono sempre date da ‘noi’ a ‘loro’. Nessuno le usa mai per descrivere se stesso o se stessa. E sono difficili, se non impossibili, da applicare imparzialmente in ogni caso in cui sarebbero giustificate. (…) In pratica, perciò, usare tali etichette è sempre schierarsi. Generalmente significano pure che le persone etichettate sono irragionevoli e questo fa venir meno il senso di ragionare (negoziare) con loro.
   INVECE cerca di chiamare le persone con i nomi che si danno esse stesse. O di descriverle con maggiore precisione: ad esempio, “dinamitardi” e, per gli attacchi dell’11 settembre, “dirottatori suicidi” sono meno partigiani e forniscono maggiore informazione rispetto a “terroristi”.
[= Rispetta il punto di vista con cui si vedono gli attori del conflitto.]
14. EVITA di concentrarti esclusivamente sulla violazione dei diritti umani, sulle trasgressioni e sui crimini di una sola parte.
   INVECE cerca di nominare TUTTI i trasgressori e tratta con la stessa serietà le accuse fatte da tutte le parti in conflitto. Questo non significa prendere tutto per buono bensì compiere uguali sforzi per stabilire se esistono prove a sostegno, trattare le vittime con uguale rispetto e considerare di pari importanza l’individuazione e la punizione di tutti i colpevoli.
[= Riporta gli atti ritenuti illeciti compiuti da qualsiasi attore del conflitto.]
15. EVITA di far sembrare un’opinione o un’affermazione un fatto stabilito. Questo è il modo in cui opera la propaganda – per esempio, la campagna, rivolta principalmente ai media degli USA e della Gran Bretagna, per collegare Saddam Hussein al ‘terrorismo internazionale’ agli inizi del 2000. Sotto un titolo che collegava l’Iraq ai Talebani e ad al-Qaeda, si affermava che “si dice che gli ufficiali dell'intelligence militare irachena stiano aiutando i gruppi estremisti palestinesi ad attaccare Israele … (…)”. L’espressione “si dice che” oscura la questione: chi è il soggetto che dice? (Vedi anche espressioni come “si crede essere”, “viene considerato” ecc.).
   INVECE di’ ai tuoi lettori o ascoltatori chi ha detto cosa. In questo modo eviti che tu e il tuo servizio di informazione sottoscriviate implicitamente le accuse fatte da una delle parti in conflitto contro l’altra.
[= Bada sempre alla precisione senza utilizzare espressioni di carattere vago che possono essere interpretate da chi legge o ascolta come notizie certe.]
16. EVITA di salutare la firma di documenti da parte dei leader, che portano alla vittoria militare o al cessate il fuoco, come necessariamente creatrice della pace.
   INVECE cerca di riferire sui problemi che rimangono, e sui bisogni e interessi delle persone colpite: cosa deve essere fatto per eliminare la probabilità di ulteriori atti di violenza? Chiedi cosa si sta facendo per rafforzare i mezzi sul campo per gestire e risolvere i conflitti in modo nonviolento, affrontare lo sviluppo o i bisogni strutturali della società e creare una cultura di pace. 
[= Curati di cercare informazioni che indirizzino a produrre una pace salda e duratura.]
17. EVITA di aspettare che i leader della ‘nostra’ parte suggeriscano o offrano soluzioni.
   INVECE raccogli ed esplora tutte le iniziative di pace da ovunque esse provengano. Poni domande ai politici, per esempio sulle idee avanzate da organizzazioni di base. Valuta le prospettive di pace rispetto a ciò che sai sulle questioni che le parti stanno realmente cercando di affrontare; non ignorarle solo perché non coincidono con le posizioni prestabilite. Includi idee di una soluzione, anche se parziale o frammentaria, perché possono aiutare a stimolare il dialogo».
[= Fai emergere le idee di rafforzamento della pace che provengono dal basso.]

J. Lynch, A. McGoldrick, Peace Journalism, Hawthorn Press, 
Gloucestershire, 2005, pp. 28-31
 riportato dal prof. Andrea Cozzo, Docente di Lingua e Lett. greca all'Università di Palermo
Membro del Movimento nonviolento italiano, gruppo di Palermo

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