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Strategie dell'azione nonviolenta: il dialogo

Jean Goss        Il dialogo è l’arma più leggera e facile della nonviolenza. Il nonviolento non abbandona mai il dialogo. Ma se il dialogo viene rifiutato lui arriva addirittura a provocarlo. (…)      Ho partecipato al primo convegno tra cristiani e marxisti dell’Est e dell’Ovest che si è tenuto a Salisburgo. (…)      C’erano quasi 400 tra marxisti e cristiani dell’Est e dell’Ovest. C’erano uomini importanti. Dopo due giorni ero esausto. Dissi a mia moglie: «Non ne posso più» (…) Allora chiesi la parola. Dissi pressappoco così: «Abbiamo voluto fare un dialogo fra cristiani e marxisti. Va bene. Questo è il primo passo sulla strada del dialogo. Ma cosa abbiamo fatto per due giorni? Due monologhi.  Cioè i cristiani sono venuti alla tribuna e hanno detto tutti i crimini, tutti i gulag, tutti i massacri che hanno fatto i marxisti. Ed in seguito hanno esposto la loro verità di cristiani. I marxisti a loro volta hanno preso la parola ed hanno parlato delle crociate, delle guerre sante, di tut

Il fine non giustifica i mezzi

     Lettore: Perché non dovremmo raggiungere il nostro fine, che è buono, con qualsiasi mezzo, anche ricorrendo alla violenza? Dovrei forse star a pensare ai mezzi quando mi trovo un ladro in casa? Il mio dovere è di cacciarlo in qualsiasi modo. Perché dunque non dovremmo tentare di ottenere qualcosa usando la forza? E anche per conservare quello che avremo ottenuto dovremo liberarci dalla paura di usare la forza, nella misura in cui si renderà necessaria. Troverebbe ingiusto usare la forza per impedire a un bambino di buttarsi nel fuoco? In un modo o nell’altro, dobbiamo raggiungere il nostro fine.

Gandhi: Il suo ragionamento ha una sua plausibilità. Esso ha ingannato parecchie persone. Tempo fa ho sostenuto le stesse posizioni. Ma oggi penso di essere arrivato a posizioni migliori, e mi sforzerò di non deluderla.
   Esaminiamo innanzitutto l’affermazione secondo la quale noi avremmo il diritto di raggiungere il nostro fine usando la forza bruta perché gli inglesi raggiungono i propri fini usando tale mezzo. E’ perfettamente vero che gli inglesi usano la forza bruta e che per noi è possibile fare altrettanto, ma usando i loro stessi mezzi otterremo soltanto ciò che hanno ottenuto gli inglesi. E lei ammetterà che noi non vogliamo questo.
    La sua convinzione che non vi sia un rapporto tra mezzi e fini è un grave errore. A causa di tale errore anche uomini considerati religiosi hanno commesso gravi crimini.
Affermare ciò che lei afferma è come sostenere che si può ottenere una rosa piantando della gramigna. Se voglio attraversare l’oceano, posso farlo soltanto con una nave; e se pretendo di farlo con un carro sia io che il carro affonderemo immediatamente (…).
    I mezzi possono essere paragonati al seme, e il fine all’albero; tra i mezzi e il fine vi è lo stesso inviolabile rapporto che esiste tra il seme e l’albero.  Non è possibile che io raggiunga il fine ispiratomi dalla venerazione di Dio prostrandomi davanti a Satana. Se qualcuno dicesse: «Voglio venerare Dio; cosa importa che lo faccia usando i mezzi di Satana?» sarebbe giudicato un pazzo. Raccogliamo quello che seminiamo. (…)
    Se io voglio privarla del suo orologio, devo chiaramente battermi con lei; se voglio comprare il suo orologio, devo pagarlo; e se voglio farmelo regalare devo pregarla di farmene dono; e, a seconda del mezzo che ho impiegato, l’orologio è un oggetto rubato, è di mia proprietà o è un regalo,
Vediamo dunque che con tre mezzi differenti si ottengono tre risultati differenti. Insiste dunque ad affermare che i mezzi non hanno importanza?”
(continua...)

Gandhi: Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino, 1981, pagg.44,45

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