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Anche Gandhi, oggi, avrebbe inviato armi all'Ucraina?

         “In No alla guerra ma le armi vanno inviate (La Stampa, 6.3.22) il teologo Vito Mancuso aveva arruolato, a favore dell’invio di armi all’Ucraina, addirittura Gandhi. La sua riflessione impiantava il problema, sostanzialmente, nei soliti termini dicotomici di scelta tra aiuto militare e nessun aiuto concreto. Evitava, cioè, la domanda fondamentale: se esistano altri modi possibili per sostenere un popolo invaso.      Il che, nel caso in cui si citi il maestro della nonviolenza, dovrebbe essere, a mio parere, proprio la prima domanda. Invece, in linea con il comune pensiero non-nonviolento , Mancuso cercava argomenti che giustificassero il ricorso alla violenza (ovviamente, violenza di difesa). In quest'ottica, egli citava il ben noto passo di Gandhi in cui, appunto per chiarire il dovere, in certi casi perfino di uccidere, viene ipotizzato il caso di un pazzo, cioè di una persona con cui non si riescano a trovare modi di interazione intell...

Il fine non giustifica i mezzi

     Lettore: Perché non dovremmo raggiungere il nostro fine, che è buono, con qualsiasi mezzo, anche ricorrendo alla violenza? Dovrei forse star a pensare ai mezzi quando mi trovo un ladro in casa? Il mio dovere è di cacciarlo in qualsiasi modo. Perché dunque non dovremmo tentare di ottenere qualcosa usando la forza? E anche per conservare quello che avremo ottenuto dovremo liberarci dalla paura di usare la forza, nella misura in cui si renderà necessaria. Troverebbe ingiusto usare la forza per impedire a un bambino di buttarsi nel fuoco? In un modo o nell’altro, dobbiamo raggiungere il nostro fine.

Gandhi: Il suo ragionamento ha una sua plausibilità. Esso ha ingannato parecchie persone. Tempo fa ho sostenuto le stesse posizioni. Ma oggi penso di essere arrivato a posizioni migliori, e mi sforzerò di non deluderla.
   Esaminiamo innanzitutto l’affermazione secondo la quale noi avremmo il diritto di raggiungere il nostro fine usando la forza bruta perché gli inglesi raggiungono i propri fini usando tale mezzo. E’ perfettamente vero che gli inglesi usano la forza bruta e che per noi è possibile fare altrettanto, ma usando i loro stessi mezzi otterremo soltanto ciò che hanno ottenuto gli inglesi. E lei ammetterà che noi non vogliamo questo.
    La sua convinzione che non vi sia un rapporto tra mezzi e fini è un grave errore. A causa di tale errore anche uomini considerati religiosi hanno commesso gravi crimini.
Affermare ciò che lei afferma è come sostenere che si può ottenere una rosa piantando della gramigna. Se voglio attraversare l’oceano, posso farlo soltanto con una nave; e se pretendo di farlo con un carro sia io che il carro affonderemo immediatamente (…).
    I mezzi possono essere paragonati al seme, e il fine all’albero; tra i mezzi e il fine vi è lo stesso inviolabile rapporto che esiste tra il seme e l’albero.  Non è possibile che io raggiunga il fine ispiratomi dalla venerazione di Dio prostrandomi davanti a Satana. Se qualcuno dicesse: «Voglio venerare Dio; cosa importa che lo faccia usando i mezzi di Satana?» sarebbe giudicato un pazzo. Raccogliamo quello che seminiamo. (…)
    Se io voglio privarla del suo orologio, devo chiaramente battermi con lei; se voglio comprare il suo orologio, devo pagarlo; e se voglio farmelo regalare devo pregarla di farmene dono; e, a seconda del mezzo che ho impiegato, l’orologio è un oggetto rubato, è di mia proprietà o è un regalo,
Vediamo dunque che con tre mezzi differenti si ottengono tre risultati differenti. Insiste dunque ad affermare che i mezzi non hanno importanza?”
(continua...)

Gandhi: Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino, 1981, pagg.44,45

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