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Media di guerra e media di pace...

         "Quando si avvicina una guerra i legami fra potere politico e organi di informazione si fanno più stretti. Karl Kraus ha sintetizzato il fenomeno con la sua proverbiale icasticità: “Come viene governato il mondo e com’é che viene condotto in guerra? Dei diplomatici ingannano dei giornalisti e, quando poi leggono il giornale, finiscono col credere alle proprie menzogne”.
        Una volta che la guerra sia dichiarata, il connubio non si scioglie, anzi si rafforza in un condizionamento reciproco che si travasa in condizionamento dell’opinione pubblica: chi osi criticare le scelte del governo – a partire dalla scelta di entrare in conflitto armato – è accusato di tradimento e, dunque, la maggior parte degli addetti ai lavori o alza il tono della voce per guadagnare medaglie come difensore dell’onor di Patria o (se nutre dei dubbi sull’entusiasmo bellicistico) previene la condanna con l’autocensura.
Risultato: “I media si costituiscono come monolitici «media di guerra»”, i giornalisti si considerano e vengono considerati “militari senza divisa” e  “l’informazione” – parafrasando Carl von Clausewitz  – diventa “guerra combattuta con altri mezzi”.
       Questa la tesi dell’ultimo libro di Andrea Cozzo, Media di guerra e media di pace sulla guerra in Ucraina. Promemoria e istruzioni per il futuro (Mimesis, Milano-Udine 2025, pp. 190, euro 17,00), dedicato innanzitutto ai professionisti della comunicazione e, più ampiamente, a tutti noi lettori, ascoltatori e spettatori.
      Il volume é distinto in tre parti. La prima fotografa la situazione in corso: “il racconto mediatico della guerra in Ucraina, fin dal 24 febbraio 2022, é stato l’apogeo della violenza culturale perpetrata quotidianamente e senza mezze misure, sulla base del triplice principio (enunciato da Johan Galtung) D- M – A:  Dicotomizzazione («Noi» vs. «Loro»), Manicheismo (il Bene – il Male), Armageddon (la Vittoria militare è l’unica soluzione)”. Vengono diffuse notizie false, a cui – se inevitabili – seguono mezze smentite: “ciò che in tempi di pace sarebbe immediatamente percepito come un’ovvia sciocchezza, in tempi di guerra, sotto il fuoco compatto del giornalismo di fazione, diventa la semplice normalità”.
      Ma Cozzo – dopo decenni dedicati allo studio della gestione nonviolenta dei conflitti e a disparate forme di sperimentazione pratica del “superamento” dei medesimi – non si limita alla diagnosi dei mali: la seconda parte del volume (inspirata al principio “Un altro giornalismo è possibile!”) è infatti dedicata alle indicazioni terapeutiche per transitare (qualora se ne veda la necessità e se ne abbia la volontà) “dal giornalismo di guerra al giornalismo di pace”).
       Questo libro, nato chiaramente dal crogiuolo della drammatica cronaca dei nostri giorni, non è un instant-book con la data di scadenza ravvicinata. Esso infatti, con passo induttivo, risale dal ‘basso’  della scottante attualità all’ ‘alto’ di tematiche di fondo e di lungo periodo, come dimostrano i due allegati che costituiscono la terza e ultima parte del volume: Prontuario di azione nonviolenta di fronte alla guerra e Democrazia, democratura e nonviolenza.
      Inopportuno, e in ogni caso impossibile, sintetizzare in poche righe la ricchezza delle informazioni e soprattutto delle argomentazioni offerte dall’Autore in questo libro che solo uno studioso di grande preparazione e di ancor più grande onestà intellettuale poteva approntare come contributo al dibattito pubblico
       E’ vero che, nell’epoca del mordi-e-fuggi, non saranno molte le persone che si vorranno regalare qualche ora di riflessione critica sulle tragedie planetarie in atto, preferendo il ruolo di tele-tifosi davanti a uno schermo televisivo o di inter-nauti appollaiati su una tastiera da cui ‘sparare’ sentenze e slogan.
Ma è altrettanto vero che quelle poche persone saranno grate a Cozzo perché, ancora una volta, nel frastuono delle urla da un fronte all’altro (e viceversa!), ha saputo interporre parole meditate, meritevoli di una pausa silenziosa d’ascolto.
                                                                                   Augusto Cavadi, da qui 

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