Anche Gandhi, oggi, avrebbe inviato armi all'Ucraina?
“In No alla guerra ma le armi vanno inviate (La Stampa, 6.3.22) il teologo Vito Mancuso aveva arruolato, a favore dell’invio di armi all’Ucraina, addirittura Gandhi. La sua riflessione impiantava il problema, sostanzialmente, nei soliti termini dicotomici di scelta tra aiuto militare e nessun aiuto concreto. Evitava, cioè, la domanda fondamentale: se esistano altri modi possibili per sostenere un popolo invaso.
Il che, nel caso in cui si citi il maestro della nonviolenza, dovrebbe essere, a mio parere, proprio la prima domanda. Invece, in linea con il comune pensiero non-nonviolento, Mancuso cercava argomenti che giustificassero il ricorso alla violenza (ovviamente, violenza di difesa). In quest'ottica, egli citava il ben noto passo di Gandhi in cui, appunto per chiarire il dovere, in certi casi perfino di uccidere, viene ipotizzato il caso di un pazzo, cioè di una persona con cui non si riescano a trovare modi di interazione intellettuale e/o emotiva ‘normali’, che con una spada stia facendo strage di chiunque incontri, e quindi, per impedirgli di continuare la carneficina, appunto lo si uccida.
Tuttavia, sarebbe bastato leggere tutto il paragrafo (ma lo spirito del passo è già chiaro fin dall’inizio e perfettamente d’accordo con tutto il pensiero del Mahatma) per scoprire che Gandhi ritiene che la violenza vada messa in atto, per difendere qualcuno, “nella minor misura possibile, soltanto quando è inevitabile, dopo una completa e matura riflessione e dopo aver esaurito tutti i mezzi per evitarlo” . (Gandhi, 1996, 71, corsivo mio)
Nel caso russo-ucraino non solo ciò non è stato fatto (cfr. l’argomento dell’urgenza) ma è anche stato fatto il contrario: come ho già detto, sia prima dell’invasione, per molti anni e continuativamente, sia dopo.
D’altronde, al di là dell’esempio citato, Gandhi non ha alcun dubbio che l’idea che non esclude il ricorso alla violenza in assoluto non serva a giustificare ogni violenza di difesa. Tutt’altro: la nonviolenza è la legge suprema. Durante il mio mezzo secolo di esperienza non mi è mai capitato di trovarmi in una situazione che mi obbligasse a dire che ero impotente, che non avevo alcuna risorsa in termini di nonviolenza” (Gandhi, 2002, 50 corsivo mio).
Bisogna dunque ricordarsi che le nostre abitudini culturali – e nient’altro che queste – tendono a farci credere subito, meccanicamente, che le condizioni in cui ci troviamo siano, guarda caso, proprio quelle che si possono affrontare solo con la violenza.”
Andrea Cozzo Media di guerra e media di pace sulla guerra in Ucraina
Promemoria e Istruzioni per il futuro - Mimesis, Milano, 2025
"Il libro illustra il modo in cui i media italiani – giornali, telegiornali e talk show con opinionisti e intellettuali – narrano la guerra in Ucraina, esercitando fin dall’inizio una violenza culturale continuata a danno dell’opinione pubblica. Andrea Cozzo analizza filologicamente il linguaggio utilizzato e le argomentazioni proposte, cercando di individuarne i presupposti, esplicitarne le retoriche e mostrarne le costruzioni e le contraddizioni. Emerge così la pratica di un giornalismo di guerra che, in nome di una pretesa difesa dell’“aggredito”, parteggia anziché prefiggersi la ricerca delle verità di tutte le parti e delle soluzioni attraverso mezzi pacifici secondo le regole, che qui vengono presentate ed esemplificate nella loro applicazione, del giornalismo di pace. Nelle appendici finali viene illustrato il modo in cui la guerra poteva essere evitata e quale sia la strada, autoritaria e militarista, che, come già Gandhi aveva previsto, la democrazia attuale sta pericolosamente imboccando". (da qui)

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